Psicologa
LE IMPLICAZIONI DEL CANCRO NELLA VITA DEL PAZIENTE
La diagnosi di cancro genera sempre uno sconvolgente stress emotivo che comporta un cambiamento non solo fisico ma anche mentale: cambia il modo di percepire e sentire il proprio corpo, cambia la percezione che si ha del mondo, cambiano le relazioni sociali e interpersonali. Questa risposta emotiva è soggettiva. Ognuno, sulla base delle proprie caratteristiche di personalità, nella fase di vita in cui si trova, nella presenza relazioni familiari e sociali solide e del contesto in cui è calata e della natura della malattia, reagirà in maniera caratteristica. La diagnosi minaccia e interferisce su tutte le dimensioni su cui si fonda l’unicità dell’essere umano: la dimensione fisica, la dimensione psicologica, la dimensione spirituale ed esistenziale e la dimensione relazionale. A livello fisico il corpo rappresenta il primo nucleo dell’identità personale che viene colpito. Il cancro, portando in primo piano la morte come realtà concreta, rende evidente, spesso in maniera improvvisa e imprevedibile, la finitezza della vita.
Gli effetti della malattia e delle terapie, come il dolore, la nausea e il vomito, la perdita di capelli o l’astenia, determinano modificazioni violente della propria immagine corporea. Questi cambiamenti possono comportare difficoltà nella conduzione della propria vita quotidiana, a causa delle limitazioni del paziente, della necessità di aiuto, della perdita parziale o totale della propria autonomia e della conseguente dipendenza dagli altri. È evidente che tutto ciò si associa a conseguenze importanti sul piano psicologico. Le reazioni emotive e le difese psichiche messe in atto dal paziente costituiscono un’area fondamentale per la comprensione del significato della malattia. Strettamente correlata alla dimensione emozionale è la dimensione spirituale che coinvolge le parti più profonde dell’essere e dell’essenza di ciascuno di noi. La dimensione spirituale include non solo la fede ed il credo religioso, ma il senso stesso che si dà alla vita e all’esistenza, il significato del tempo e del destino. Il senso di appartenenza ai sistemi micro-sociali ovvero famiglia-amici e macro-sociali: lavoro, comunità, politica viene minacciato e colpito dalla diagnosi di cancro. Le modifiche relative a come ci si percepisce e a come dagli altri si è percepiti, minacciano il mantenimento di sentimenti di integrazione e appartenenza, a scapito di sentimenti di abbandono, solitudine ed emarginazione che emergono in maniera tumultuosa e disumanizzante.
LE FASI DI ELABORAZIONE NELLA MALATTIA ONCOLOGICA
La risposta emotiva a una diagnosi di cancro può essere definita adeguata dal punto di vista psicologico, quando rispetta tre fasi di elaborazione. La prima fase consiste in una reazione iniziale caratterizzata da shock e incredulità, che di solito comporta una incapacità di comprendere la portata di quanto sta accadendo. A questa prima reazione segue un periodo di sofferenza psichica caratterizzato da sintomi misti di ansia, rabbia e depressione. Non è insolito che a questi sintomi si associano disturbi del sonno, diminuzione dell’appetito e perdita di interesse per le attività quotidiane. Successivamente a questa seconda fase inizia il processo di elaborazione vero e proprio: lentamente si cominciano a elaborare le informazioni, sulla malattia, sul trattamento, sugli scenari futuri e si entra nell’ultima fase in cui si trova un nuovo equilibrio. La persona è riuscita a prendere atto che il cancro è parte della propria vita. Durante il percorso di elaborazione, il malessere psicologico caratterizzato da tristezza, ansia, depressione e irritabilità possono essere di intensità elevata ed eccessiva, di conseguenza influenzare negativamente la vita relazionale e lavorativa. Questi sintomi possono causare distress che di conseguenza inficia la qualità della vita sia della persona malata, sia della sua famiglia. Possono manifestarsi in qualunque momento della storia della malattia: dalla diagnosi fino ai trattamenti e anche dopo la scomparsa clinica della malattia. Ansia, stress e depressione si possono infatti presentare quando ci si sottopone a un esame di screening per il cancro, quando si aspettano i risultati di un test, nel momento della diagnosi o del trattamento quando si fa strada la paura sull’esito, oppure dopo i trattamenti, per il timore che la malattia si ripresenti. Il processo di elaborazione segue il modello di adattamento alla diagnosi formulato da Elizabeth Kübler Ross.
Questo modello prevede 5 fasi:
- FASE DELLA NEGAZIONE E DEL RIFIUTO: rappresenta un modo attraverso cui la persona cerca di proteggersi dalla realtà tentando di tenerla lontana dalla coscienza fino a quando non si sentirà pronta ad affrontarla. Questo modo di reagire è funzionale quando permette alla persona di trovare le strategie e gli strumenti emotivi per affrontare il dolore, altrimenti può causare uno scarso adattamento alla realtà e una scarsa aderenza al patto di cura.
- FASE DELLA COLLERA E RABBIA: l’emozione della rabbia, fino all’escalation della collera interessa tutte le persone che circondano il paziente (familiari, amici, personale sanitario). Il paziente può interpretare la malattia come un ostacolo ai propri obiettivi, oppure come una minaccia alla propria autostima ed immagine sociale, o ancora come un’ingiustizia subita. FASE DEL VENIRE A PATTI: in questa fase il paziente abbandona la rabbia in favore della trattativa. Il patteggiamento può avvenire con i familiari, con lo specialista di riferimento o con una divinità. È solita, in questa fase, la convinzione che un comportamento positivo possa produrre un cambiamento positivo sull’esito della malattia, e viceversa.
- FASE DELLA DEPRESSIONE: in questa fase il livello di sofferenza aumenta, il paziente inizia a riconoscere che non può tenere sotto controllo la malattia con compromessi. Lo sviluppo di sentimenti depressivi può costruire la premessa cognitiva ed emotiva al processo di accettazione della malattia. In questa fase la persona trova un nuovo significato a temi come il senso della vita, i contenuti dell’esistenza e la dimensione esistenziale e spirituale.
- FASE DELL’ACCETTAZIONE: in questa fase il paziente acquisisce consapevolezza della condizione, le emozioni iniziano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà. È importante ricordare che ogni paziente rappresenta una storia a sé, non esiste un percorso di elaborazione predefinito per ogni persona, ma esiste un modo soggettivo di reagire a un evento traumatico che dipende da: Il grado di aggressività della malattia La percezione della natura della malattia; Il rapporto con il curante; Il significato di minaccia che il cancro rappresenta per il paziente; I fattori culturali e religiosi che possono costituire una fonte di supporto; Il grado di supporto sociale disponibile e percepito dal paziente; Le risorse della persona e le sue caratteristiche di personalità
COSA ACCADE ALL’IMMAGINE CORPOREA
Gli interventi chirurgici, le terapie, l’utilizzo di dispositivi medici come cateteri, stomie o cannule causano la perdita dell’integrità fisica e le alterazioni dell’immagine corporea, generando risonanze psicologiche a carico dell’io corporeo connotata da sentimenti di diversità e deformità.
La diagnosi di cancro pone di fronte alla irreversibile nuova immagine corporea concreta e mentale con cui l’individuo dovrà fare i conti, con lo sconosciuto nuovo significato che dovrà dare e darsi come persona, come donna/uomo.
Le sfere legate alla femminilità/mascolinità ed alla sessualità possono essere soggette a dei drastici cambiamenti: parti del corpo, vengono intaccati dalla presenza e dalla rimozione del tumore rischiando quindi di mettere in crisi l’immagine sia mentale che corporea della persona, modulando il significato stesso, le aspettative, le consapevolezze, minando identità ed integrità stessa. Sia il cancro che il suo trattamento possono cambiare il modo in cui la persona guarda se stessa allo specchio. E forse, proprio inizialmente, sono proprio i cambiamenti del corpo a creare più angoscia.
Tra i cambiamenti fisici più comuni si riscontrano:
- La perdita di capelli La perdita di un organo, o di una parte di esso
- L’aumento di peso o l’eccessiva perdita di peso
- Le cicatrici dovute agli interventi chirurgici
- I rash cutanei, come conseguenza di terapie farmacologiche o radioterapiche
- La necessità di una stomia (un’apertura chirurgica temporaneo o permanente che permette a rifiuti corporei, urine e feci di uscire dal corpo e venire raccolte in una sacca)
- Affaticamento o perdita di energia, che portano alla rinuncia di attività che, prima della diagnosi, erano considerate piacevoli
La chirurgia ricostruttiva, protesi, parrucche e soluzioni cosmetiche, sebbene il più delle volte sono di fondamentale importanza perché aiutano ad affrontare più positivamente le modificazioni corporee. Il cambiamento dell’immagine di sé è una delle sfide più difficili per chi si ammala di cancro. Sentirsi a disagio o infelici per il proprio corpo è del tutto normale: è necessario del tempo per adattarsi ai cambiamenti del corpo. Ma occorre prenderne atto e costruire gradualmente una nuova immagine di sé. Si tende ad evitare di guardare le parti del corpo che hanno subito un cambiamento: una cicatrice, la perdita di un seno, una stomia. La mancata accettazione di sé può acutizzare sentimenti di inadeguatezza, paura del giudizio da parte del partner/familiari/amici. Ma solo familiarizzando con il cambiamento si può avviare il processo di accettazione
CANCRO E SESSUALITà
CANCRO E SESSUALITA’
La sessualità è una delle componenti essenziali della vita di ogni individuo. È complessa e variegata e racchiude aspetti sia fisici sia psicologici. L’impatto della malattia oncologica sulla sessualità dipende da molti fattori: biologici, interpersonali, culturali, psicologici. Purtroppo, la diagnosi di un tumore ha un impatto significativo sul benessere sessuale, perché interferisce con ciascuno di questi fattori. Molto dipende dalla fase di malattia che il paziente sta attraversando, dall’effetto della chirurgia e dalle terapie. Le alterazioni sessuali in un malato oncologico sono riconducibili a due categorie: temporanee e irreversibili. Le alterazioni temporanee sono quelle transitorie che rientrano dopo i trattamenti terapeutici. Quelle irreversibili sono invece permanenti e sono solitamente conseguenti gli esiti chirurgici radicali che interessano organi come la prostata, l’utero e le ovaie. Risulta importante anche distinguere il tipo di disagio che può essere fisico, quando scaturisce, ad esempio, da effetti delle terapia ormonale, che può causare un abbassamento del desiderio sessuale, difficoltà nell’eccitamento, difficoltà nell’erezione, secchezza vaginale, dolore e difficoltà a raggiungere l’orgasmo. Il disagio può essere anche psicologico, quando appunto la malattia e gli effetti dei trattamenti hanno inficiato l’immagine corporea, come ad esempio la perdita di capelli, il gonfiore diffuso, i risultati degli interventi chirurgici. Nella maggior parte dei casi sia i fattori fisici che i fattori psicologici coesistono e interagiscono tra loro creando quadri complessi dove la sessualità diventa un vero e proprio problema per l’ammalato e per il partner o preclude la ricerca di nuovi partner. Per affrontare i problemi nella sfera sessuale è opportuno valutare in prima istanza se la riduzione o l’assenza di sessualità costituisce un problema: per molte persone la sessualità e le sue limitazioni possono non essere un problema importante, mentre per altre è un aspetto significativo. È importante conoscere fin da subito quali sono gli effetti dei trattamenti e delle terapie sulla sfera sessuale, così da poter valutare tutte le possibili strategie da mettere in atto. Inoltre bisogna favorire una buona comunicazione all’interno della coppia per favorire l’esplicitazione di paure e preoccupazioni relative alla sfera sessuale. La malattia e le terapie possono indurre cambiamenti notevoli a livello psico-fisico. Un aspetto importante nella relazione di coppia è il riavvicinamento al sesso in modo graduale. Il primo passo consiste nel prendere nuovamente confidenza con la propria fisicità: può essere utile osservarsi allo specchio, massaggiare per riscoprire le sensazioni piacevoli del tatto e riprendere confidenza con il proprio corpo. Di conseguenza anche l’approccio sessuale deve procedere a piccoli passi: partendo da stimolazioni leggere fino al riavvicinamento con il partner.
SINDROME PSICO NEOPLASTICA
SINDROME PSICO NEOPLASTICA
La diagnosi di cancro può comportare uno shock da trauma, che dà vita ad una serie di reazioni che si configurano come una sindrome, definita “ SINDROME PSICO NEOPLASTICA”. Può presentarsi come una costellazione di sintomi psicopatologici la cui intensità dipende dall’interazione di diversi fattori: la personalità del paziente, le esperienze passate, l’età, le relazioni interpersonali presenti e passate, la presenza di un contesto sociale e familiare supportivo, la gravità e il tipo di tumore stesso. Si presenta dopo la diagnosi di cancro e abbraccia tutto il periodo della malattia. I sintomi psicopatologici maggiormente presenti sono: senso di paura e stress, ansia, depressione, alterazione immagine di sé e del corpo, aggressività, rabbia, ostilità, senso di colpa, di invidia, di ingiustizia e uso massiccio del meccanismo di difesa della negazione e rimozione. Depressione, ansia e rabbia possono essere viste come normali risposte adattive alla situazione che l’individuo sta affrontando. L’eccessiva presenza di queste ultime non deve essere vista necessariamente come la presenza di disturbi o espressione di una malattia, ma è fondamentale essere a conoscenza che un certo livello di depressione e ansia è inevitabile. Tutti questi fattori influenzano lo stato emotivo e la reazione alla malattia. L’elaborazione del trauma psicologico legato alla diagnosi non è immediata: solitamente la remissione clinica non combacia con la remissione psicologica. La guarigione psicologica non è immediata e potrebbero instaurarsi stati di disperazione cronica che devono essere trattati adeguatamente. Esiste quindi una convalescenza fisica ed una convalescenza psichica, spesso ancora più faticosa. È importante per il paziente richiedere l’adeguato supporto per elaborare il trauma conseguente la diagnosi ed imparare a sostenere il peso della malattia. Fondamentale è la condivisione delle emozioni con familiari, imparare a sviluppare modalità adattive di gestire la malattia, per dare un senso a quanto è accaduto, a ritrovare un senso di speranza e ottimismo verso il futuro.
DIRLO AI FIGLI. SI O NO?
DIRLO AI FIGLI. SI O NO?
Quando un genitore si ammala di cancro la parte sicuramente più difficile è comunicare la diagnosi ai figli. La comunità scientifica concorda sul fatto che la congiura del silenzio non aiuta, al contrario comporta molti disagi nei figli, che sperimentano frustrazione, angoscia, senso di inadeguatezza e isolamento. Le domande che affollano la mente dei genitori solitamente sono: Aspetto o lo dico subito? Quali parole usare? Come farò a trattenere le lacrime? Primo aspetto importante riguarda il tempo. È opportuno non posticipare di molto la comunicazione con i figli. Quando si riceve una diagnosi, gli eventi che ne conseguono (interventi, inizio terapie, presenza degli effetti collaterali) sono veloci e repentini. Temporeggiare nella comunicazione con i figli comporta il dover affrontare il discorso in maniera frettolosa, non dando la possibilità di recepire la comunicazione nel modo giusto. E questo avrà un impatto maggiore sulla salute mentale del figlio. È importante creare un momento per dare la notizia. Si può approfittare del ritorno a casa dopo la visita con il medico. Bisogna creare la situazione giusta, assumendo una postura aperta e un atteggiamento accogliente e protettivo. La comunicazione deve essere ad imbuto e deve tenere presente il livello di sviluppo cognitivo del figlio utilizzando un linguaggio a lui comprensibile utilizzando dei sinonimi. È opportuno non dare notizie false, che possono generare false aspettative. Le emozioni non vanno represse. Se ci si commuove mentre si racconta ai figli quanto sta accadendo, è importante non reprimere queste reazioni emotive, perché facilitano la comprensione e l’intensità di quello che si sta dicendo. Inoltre aiuta i figli a capire che si può anche piangere. Non esistono parole giuste per comunicare la diagnosi ai figli, l’importante è essere sempre sinceri ed usare termini comprensibili.
QUANDO LA MALATTIA NON RISPONDE ALLE CURE
Quando la malattia non risponde più alle cure, è fondamentale il controllo del dolore e la gestione degli altri sintomi, dando la giusta rilevanza agli aspetti psicologici e alle emozioni correlate. Le emozioni ricorrenti nei pazienti in cure palliative sono: il senso di solitudine, l’ansia, la rabbia, la paura, il senso di colpa, la disperazione e la tristezza. Queste emozioni, parallelamente, sono vissute anche dai familiari/caregiver. Nella maggior parte dei casi il decorso può essere cronico e doloroso e il paziente può aver esaurito le risorse psicologiche per affrontare adeguatamente il momento. Per alleviare la sofferenza e ridurre il disagio emotivo è necessario identificare i bisogni del paziente e dei suoi familiari, cercando di identificare le emozioni negative e tenerle in considerazione prima di intraprendere un supporto terapeutico. In questa fase della malattia i vissuti psicologici si susseguono e si alternano seguendo le fasi di elaborazione del dolore di Kübler Ross. La prima fase viene definita di “negazione o rifiuto” ed è caratterizzata dal fatto che il paziente rifiuta l’aggravamento della sua condizione, è connotata da una negazione delle condizioni di salute. Dopo la negazione giunge la rabbia e i pazienti iniziano a manifestare emozioni intense come rabbia e paura. Questa è una fase che investe emotivamente sia i familiari che il personale sanitario. Rappresenta un passaggio molto delicato e un momento critico dove, da una parte emerge una richiesta di aiuto, e dall’altra può verificarsi il rifiuto, la chiusura e il ritiro della persona. Segue il patteggiamento: il paziente tenta una negoziazione sia con i familiari che con il personale sanitario per quanto concerne le cure e i progetti in cui può investire le sue energie. Il paziente cerca di riprendere in mano la sua vita dedicandosi a ciò che può ancora fare. Quando il paziente si rende conto che le energie sono limitate e inficiano anche i progetti, attraversa una fase definita di depressione. La persona entra in contatto con la sofferenza che aumenta con il progredire della malattia, diviene, a poco a poco, consapevole della stessa. Infine il paziente diviene consapevole di ciò che sta accadendo ed arriva ad un’accettazione della sua condizione. Possono essere presenti livelli di rabbia e depressione, di intensità moderata. In questo momento, la persona ricerca la vicinanza e il dialogo con i suoi familiari. Il susseguirsi di queste fasi non è predeterminato, e si possono ripetere più volte durante il decorso della malattia avanzata. Nella fase terminale di malattia, il paziente si trova a ripercorrere le fasi di elaborazione, facendo riemergere la negazione, la ribellione e la depressione, fino all’attuazione di due scenari diametralmente opposti. Da un lato si giunge ad una accettazione della condizione, con la risoluzione di conti in sospeso, che possono riguardare sia aspetti relazionali che aspetti economici; dall’altro lato, può essere presente un sentimento di forte disperazione accompagnata da paura e angoscia. Il supporto in queste circostanze deve essere centrato all’esplorazione della sua storia di vita e familiare, con l’obiettivo di individuare i significati e i valori che orientano le sue scelte attraverso il modo in cui vede il morire, e ciò che sta lasciando.
Dott.ssa Elisa Giustina Mauro, psicologa esperta in Psicodiagnosi, Psico-oncologa, Esperta in Perizia Psicologica, Psicoterapeuta in formazione.
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